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Il progetto Facing My Faces

Facing my Faces è il nome che ho dato al progetto che ho realizzato per a masterclass di MAREA a tema "Collezioni".

lunedì 10 ottobre 2022

Facing my Faces è il nome che ho dato al progetto che ho realizzato per la consegna finale della masterclass di MAREA presso l’UIA di Venezia.

Avevamo un tema, le “Collezioni”, da sviluppare in ogni modo trovassimo opportuno: il focus era creare un prodotto creativo, non per forza illustrato, che ruotasse intorno a quel tema e che fosse compiuto.

Le idee che avevo erano diverse: mi ero fatto un esercizio stile Rodari per trovare qualche cosa che stimolasse la mia creatività. Partendo dal termine collezioni come insieme di elementi con un team unico intorno, ho pensato a come vengono create le collezioni. Possono essere raccolte da una persona, oppure una persona può ricevere gli oggetti, quindi un moto contrario, oppure una collezione può essere trovata ed espansa.

Eravamo inoltre a Venezia e cosa si poteva collezionare a Venezia? Bè, in verità davvero molte cose:

  • finestre di ogni tipo
  • oppure cancelli o giardini nascosti
  • colori dell’acqua
  • colori del cielo
  • tipi di piccioni
  • tipi di turisti

Ai turisti mi sono fermato. Collezioniamo turisti! Ma come si può fare?

Io tendo ad avere dei livelli di pigrizia che superano il livello di normalità e quindi mi sono detto: facciamo che siano i turisti a creare la mia collezione.

C’è stata poi la connessione con il mio neonato approccio alla performance con il pubblico, tramite il Poetry Slam ma anche tramite dei lavori svolti a Trento con altri artisti. Ed ecco il concetto: avrei collezionato qualcosa dai turisti di Venezia. E quel qualcosa sarei stato io, la mia faccia per la precisione, disegnata dai turisti a cui avrei deciso di chiedere.

Avrei anche unito l’utile al dilettevole: ero a Venezia in quel periodo magico che va da fine agosto a inizio settembre, nell’anno della Biennale d’Arte e nella settimana del Festival del Cinema. La città pullulava di turisti e di cose splendide da vedere.

Ho quindi inforcato lo zaino, preso una biro, un quadernino bianco e una faccia tosta davvero come poche.

La tattica era semplice: avvicinare qualcuno sorridendo. Ma non ha funzionato subito: diciamo che questo progetto è anche stato un mini esperimento sociale. Innanzitutto, fin dal primo paio di persone ho capito che avvicinarsi con penna e quadretto in mano spaventa chiunque. Anche senza che dicessi niente mi allontanavano e anche se poi spiegavo di cosa si trattava il progetto mi chiedevano di andarmene stizziti.

Quindi decisi di avvinciamo con penna e quadernino in tasca (che mi dava l’occasione di teatralmente uscire gli attrezzi una volta che ricevevo il tanto sperato “Sì”).

Ma anche questo non bastava. Se mi presentavo e poi chiedevo loro se avevano qualche minuto, subito ricevevo un netto rifiuto. D’altronde, non gli stavo dicendo nulla su come avrebbero speso quel tempo che gli avrei sottratto dal visitare una delle città più belle del mondo. Ecco quindi che aggiunsi al mio script la parte sul corso di illustrazione e il progetto finale.

Quando gli raccontavo l’idea e il contesto, scattava la simpatia e la disponibilità aumentava. Rimaneva l’ultimo scoglio: non sapete quante persone, soprattutto uomini, rinunciavano perchè preoccupati di fare un disegno terribile e che (parole testuali) “mi avrebbe offeso”. Ci ridevamo e scherzavamo ma ho perso tantissimi disegni per questo inghippo. Se avevo la fortuna di trovare una coppia, il fidanzato (o marito) delegava alla fidanzata (o moglie) ma quasi mai il contrario.

Per la primissima persona, avevo creato io dei disegni completamente terribili (un po’ come le monetine nel cappello del mendicante) per creare meno aspettativa. E mano a mano che il libretto si riempiva, i prescelti si sentivano meno sottopressione nel vedere che altri volti erano stati scarabocchiati e senza grandi livelli di tecnica e non avevano intaccato il mio sorriso.

Alla fine del progetto, ho incontrato e parlato con più di cento persone: con alcune, a parte qualche breve saluto e sorriso, nulla più, ma ci sono state anche persone che hanno colto l’ccasione di quello strano e imprevisto contatto umano per raccontarsi. Ho parlato con due mamme con dei bambini estremamente iperattivi, con una ragazza che era a Venezia in vacanza ma il cui lavoro era sviluppare algoritmi di intelligenza artificiale per ottimizzare la durata delle batterie al litio, un’intera famiglia spagnola con due gemelli identici, la custode di un padiglione della biennale con cui ho condiviso le mie emozioni post-visita, il figlio del proprietario e cuoco di uno dei più vecchi bancari di Venezia.

Un universo di persone racchiuse in quei volti scarabocchiati che ho poi deciso di riprodurre a memoria.

E il ricordo più bello?

Quando a fine corso tutti i miei amici e amiche e gli stessi prof (parliamo di Andrea Antinori, Eleonora Marton, Jim Stoten e Sarah Mazzetti, quindi nel mio quadernino ho dei mini-capolavori! — che ovviamente ho chiesto loro di firmare) hanno anche loro aggiunto i loro disegni del mio volto.

Mi sono commosso ed emozionato. E sono stato davvero contento di aver avuto questa stupenda occasione per avvicinarmi nuovamente al mondo dell’illustrazione.